CASTITA’ – L’EDUCAZIONE DELLA PUREZZA

CASTITA’ – L’EDUCAZIONE DELLA PUREZZA

dal Trattato di Teologia Morale

DOVERI DELL’UOMO VERSO SE STESSO

I. I DUE SESSI NEI DISEGNI DI DIO (III)

4. L’EDUCAZIONE DELLA PUREZZA

I. NECESSITÀ ED AMBITO DELL’EDUCAZIONE (444).

1. La nativa bontà degli istinti che presiedono alla riproduzione della specie non può essere una sufficiente garanzia per la virtù: la loro indole paradossale, resa ancor più impetuosa dal peccato di origine, e l’influenza deleteria delle molteplici sollecitazioni esterne rendono necessaria un’opera di educazione e di profilassi che va iniziata fin dalla prima età.

2. Codesta opera consiste nella metodica disciplina di tutti gli elementi – biologici, psicologici e spirituali – che sono impegnati nell’esercizio di questa virtù. Che, come la impurità non è semplice espressione di istinto, ma è insieme sentimento, pensiero e volontà aberrante (i primi due coefficienti costituiscono il corpo del peccato ossia la parte materiale, e gli altri due ne sono l’elemento formale), così la purezza implica dominio dell’istinto e dell’emotività da parte dell’attività dello spirito, educata a tale senso di autodominio.

È necessario, pertanto, educare l’organismo, la sensibilità, lo spirito, cercando di evitare o eliminare tutte quelle cause che possono rendere più acuti gli istinti oppure possono stimolarne l’esercizio, e sforzandosi di sviluppare tutte quelle risorse che valgono a corroborare la volontà.

3. A tale riguardo si suole giustamente distinguere una duplice educazione, generica l’una, specifica l’altra.

La prima consiste nella remota preparazione del corpo, del senso e dello spirito al senso della fortezza, della rinunzia, del dominio di sé ed a tutte quelle virtù che, pur essendo distinte dalla purezza, ne favoriscono lo sviluppo (sincerità, magnanimità, religione ecc.).

La seconda riguarda la cura o disciplina di tutti quegli elementi che hanno immediata attinenza con i problemi relativi alla purezza. Ciò importa, tra l’altro, l’educazione della fantasia, del cuore e il culto della modestia (445).

Naturalmente il problema dell’educazione alla purezza, pur essendo unico nella sua base, si differenzia da caso a caso, attese le diverse circostanze di temperamento, di età, di ambiente in cui l’individuo può trovarsi.

Comunque, in ogni caso, è necessario far leva tanto sulle risorse e sugli espedienti di ordine naturale come su quelli di ordine soprannaturale; che la grazia esige la collaborazione della natura, e questa, senza della prima, si rivela impari all’arduo compito educativo, soprattutto su questo terreno.

II. EDUCAZIONE ED INIZIAZIONE SESSUALE – COEDUCAZIONE.

1. Educazione e iniziazione sessuale (446).

Il problema è proposto in maniera formale nel secolo XVIII: È utile o dannoso rivelare ai giovani i misteri della vita ed iniziarli alla vita sessuale?

Le risposte sono state diverse, ne è facile sistemarle tutte in schemi ben definiti. Non si può non tener conto, nel giudizio, delle differenze talvolta assai notevoli, che distinguono un autore dall’altro nella linea di una stessa tesi o identico indirizzo, ed accade anche di trovarsi nel campo cattolico di fronte ad opinioni solo in apparenza contrarie.

A voler classificare le varie opinioni grosso modo oggi, si potrebbe essere indotti a dire che si nota un senso di fiducia per il metodo dell’iniziazione sessuale.

Però tra coloro i quali si dimostrano favorevoli alla rivelazione dei misteri della vita, alcuni parlano di una rivelazione completa, simultanea, tecnica, che non si limiti all’esposizione del processo della generazione, ma si estenda altresì alla descrizione dei peccati, delle perversioni sessuali e delle malattie, ne rifuggono da un’iniziazione collettiva, nelle stesse pubbliche scuole; altri, ancor più audaci, ascrivono a fobia o a causa di fobie la fuga dei pericoli, mentre ritengono che una maggiore libertà renda più sereno e più forte lo spirito; altri invece – e può dirsi tesi più cònsona ai princìpi cattolici – parlano dell’opportunità della rivelazione dei misteri della vita, purché essa sia semplice (non tecnica), graduale, prudente e fatta singolarmente.

Inoltre nessun cattolico crede nell’efficacia esclusiva di tale illuminazione, ove questa non sia accompagnata dall’educazione della volontà e dall’aiuto della grazia.

I documenti della Chiesa, sono stati via via sempre più favorevoli a questo indirizzo; ma condizionano la rivelazione dei misteri della vita all’esame di tutte le circostanze ed all’uso di tutte le cautele suggerite dalla prudenza cristiana, e riservano tale compito a coloro che hanno da Dio l’ufficio di educare (468).

Ecco come si esprime il Concilio ecumenico Vaticano II; ” I fanciulli… debbono ricevere, man mano che cresce la loro età, una positiva e prudente educazione sessuale ” (469).

In armonia a tale indirizzo si suggeriscono i seguenti rilievi:

a) Causa del peccato di impurità nei giovani non è, in genere, l’ignoranza, ma sono le passioni, e queste tutt’altro che essere sedate dalla conoscenza delle cose attinenti al sesso, possono trovare in essa un iniziale appagamento (lussuria larvata) ed un forte incentivo, specie in un’età, in cui problemi della sessualità, per la stessa novità dei fenomeni, acquistano spesso un carattere paradossale e talvolta ossessionante.

b) Quando al contrario si osserva, specie in campo acattolico, che non ci si deve vergognate di cose create da Dio, si dimentica il dogma del peccato di origine, e non si riflette sulla funzione inibitrice del pudore, di cui l’ordinario riserbo intorno ai misteri della vita costituisce una delle principali espressioni.

D’altra parte la stessa natura ordinariamente illumina la mente del giovane o della fanciulla sui problemi della vita, suscitando però nel tempo stesso, il sentimento cosciente del pudore. Rompere o diminuire la forza inibitrice di tale freno nuoce naturalmente alla virtù.

c) Per questo motivo è da condannarsi il metodo della iniziazione sessuale tecnica, simultanea, collettiva, anche se limitata alla sola conoscenza dei problemi attinenti al sesso, con l’esclusione di qualsiasi esperimentazione (il che in qualche luogo non si esclude).

d) Per un motivo analogo noi non vediamo se sia veramente utile la rivelazione dei misteri della vita prima della età prossima alla pubertà, È illusorio pensare di poter anticipare tali notizie, senza suscitare nell’animo dei giovanetti curiosità morbosa e la tentazione di esperienze naturalmente coperte di mistero. D’altra parte la pubertà non esplode come un fenomeno improvviso, ma è preparata da lunga data, attraverso cicli, di cui non è ancora conosciuta pienamente la natura. Da ciò la necessità di una gradualità.

Comunque, la precocità genesiaca, se talvolta è effetto di una vera anormalità fisiologica, il più delle volte non è in relazione con la precocità dello sviluppo organico generale, ma è il prodotto della fantasia, è la provocazione volontaria e forzata dell’istinto, e costituisce perciò un fenomeno di aberrazione derivante da un’educazione mal diretta (449).

e) D’altra parte si da realmente il caso che anche prima della pubertà i ragazzi e le bambine muovano delle domande relative ai misteri della vita.

Tali domande non sono sempre legate con i vari stadi dello sviluppo psicosessuale, come qualche autore ritiene; molte volte la domanda è rivolta ingenuamente occasionata da circostanze fortuite, e, passato quel momento, non lascia traccia alcuna nell’animo del fanciullo. Altre volte invece essa costituisce una vera curiosità, che assedia la mente del ragazzo, ed è determinata dal crescente interesse che egli, specie in quella che alcuni autori chiamano la prima pubertà, ha per il proprio corpo.

In nessuno dei due casi conviene, sotto lo stesso profilo pedagogico, ricorrere alle bugie o alle favole: oltre al resto, ciò potrebbe diminuire sensibilmente la fiducia nei genitori o negli educatori, una volta che sia riconosciuto l’inganno. Nel primo caso una risposta vera, ma assai generica, sarà più che sufficiente; nel secondo caso invece conviene appagare la curiosità, ma in maniera sobria e proporzionata alla stessa età di chi domanda, con serenità ed insieme con riserbo, evitando nel proprio atteggiamento tutto ciò che, aumentando l’aria di mistero, possa accrescere, anziché sedare, la curiosità di chi interroga.

f) Può anche darsi che il giovanotto o la fanciulla, senza rivolgere tali domande, manifesti diversamente la sua curiosità e cominci già a presentare i sintomi o a dare le prove di una morbosità, forse ancora non pienamente cosciente, ma che, ove non sia dominata in tempo, potrebbe compromettere gravemente sia il fisico quanto e soprattutto lo spirito.

In tali casi può risultare l’opportunità di un ammonimento che illumini e salvi dal pericolo.

Parimenti può riconoscersi talvolta l’opportunità di una sobria e casta illuminazione, a fine di evitare timori o preoccupazioni in ordine ai fenomeni propri dello sviluppo. Come è stato già osservato, tale compito è riservato a coloro che ne hanno il mandato.

g) Da osservare inoltre che altro è rilevare i misteri della vita a chi ne è ignaro, allo scopo di premunirlo contro i pericoli, altro è ammonire con severità e castigatezza di linguaggio chi già, conoscendo tali misteri, comincia a sperperare e profanare le energie riservate da Dio alla riproduzione della specie.

Tale ammonimento si rivela soprattutto opportuno nei casi di procacità sessuale, sia essa dovuta a malsana educazione o costituisca un caso di vera anomalia.

h) II problema della rivelazione dei misteri della vita riguarda i giovani in genere, non coloro i quali si preparano prossimamente al matrimonio. In costoro l’ignoranza della vera natura dell’oggetto del consenso potrebbe, oltre al resto, compromettere la stessa validità del vincolo. È necessario che tanto lo sposo quanto la sposa, conoscendo l’oggetto dei loro diritti, ne conoscano altresì i limiti e siano pienamente consapevoli dei loro doveri. Ma oggi, tutto ciò è, nella maggioranza dei casi un problema superato.

i) Infine altro è esporre sistematicamente ai pericoli, nella vana fiducia che ciò possa servire a immunizzare contro i medesimi, altro è rifuggire da tutte quelle forme di fobia, che, anziché giovare alla virtù, la danneggiano. Il principio su cui poggia il metodo sopra denunziato è assai diverso, anche se presenti delle apparenti somiglianze, da quello su cui poggia la sana pedagogia, la quale crede all’efficacia di una naturale vaccinazione in questa materia, purché si tratti di spontanea, graduale e prudente conoscenza delle cose, che hanno attinenza col sesso, che si ha per il naturale contatto con le medesime, e purché non si prescinda dall’aiuto della grazia di Dio.

2. Coeducazione.

Oltre ai fautori del naturalismo che hanno creduto di trovare nella coeducazione un elemento favorevole alla sanità dei costumi, in contrasto con i pericoli dell’auto-erotismo, tale metodo è stato lodato anche da molti cattolici. Si vede in questo una forma di graduale vaccinazione contro il male, un incentivo alla gentilezza ed all’emulazione, ed una espressione analoga alla vita di famiglia (450).

In realtà il confronto con la vita di famiglia è alquanto forzato, e ci sembra che si eccede nell’applicazione del principio ab assuetis non fit passio, dimenticando che la consuetudine può eliminare l’urto della impressione nuova, ma non toglie, anzi aumenta il pericolo che deriva dal continuo contatto, con ciò che costituisce uno stimolo naturale delle passioni, non solo per la sua novità, ma per il suo contenuto.

Perciò non si può stimare del tutto arcaica l’opinione che riteneva la coeducazione contraria alla specifica formazione dei due sessi. ” Questi, osservava Pio XI nell’Enc. Divini ìllius magistri, del 31 dic. 1929, conforme agli ammirabili disegni del Creatore, sono destinati a compiersi reciprocamente nella famiglia e nella società, appunto per la loro diversità, la quale perciò deve essere mantenuta e favorita nella formazione educativa, con la necessaria distinzione e la corrispondente separazione, proporzionata alla varietà e circostanze (451). Tuttavia oggi sono ammesse esperienze contrarie nelle stesse scuole cattoliche con il consenso dell’Ordinario e della rispettiva Conferenza episcopale (452).

È infatti, in materia, da attendere l’ambiente socio-culturale proprio di ogni età,

3. Patologia e terapia sessuale (453).

In senso lato costituiscono dei fenomeni patologici tutte le anomalie che si manifestano nelle espressioni degli appetiti genesiaci, anche se transitori e facilmente emendabili. In senso stretto vanno, invece, sotto questo nome solo le mostruosità abituali, difficilmente correggibili e che non si limitano solo all’azione, ma denotano una deviazione dell’istinto. Può, infatti, darsi il caso in cui l’aberrazione sessuale abbia solo un valore surrogatorio.

Gli autori sogliono distinguere le inversioni (uranismo, saffismo, pederastia) dai pervertimenti sessuali (autoerotismo, satiriasi, feticismo, sadismo ecc.), sebbene non sempre siano d’accordo sulla classificazione dei singoli fenomeni.

Bisogna, peraltro, notare che nella sfera della stessa inversione o perversione sessuali si notano spesso differenze assai profonde nelle tendenze.

Inoltre in tutte queste manifestazioni aberranti dell’istinto genesiaco bisogna distinguere: le forme degenerative o congenite, dovute a qualche anomalia di natura ereditaria; le forme acquisite, dovute ad abitudini viziose, ad influenze dell’ambiente e a diversi fattori di origine sociale; le forme sintomatiche, che si manifestano in modo secondario ad altri stati di malattia mentale (epilessia, imbecillità, alcoolismo ecc.).

Quanto all’imputabilità degli atti posti sotto la spinta di tali malattie valgono i princìpi generali relativi alla libertà, tenendo presente che bisogna essere quanto mai cauti nella formulazione dei giudizi, e che il peccato grave può aver luogo anche se la responsabilità sia diminuita, purché l’atto sia sostanzialmente libero.

Nella cura è necessario tener conto della forma e, quindi, della causa del male, riflettendo, però, che, ove non si tratti di forme sintomatiche in rapporto con malattie mentali, che tolgano completamente la responsabilità degli atti, l’educazione o rieducazione della volontà ha sempre un valore preminente, e che anche nelle forme congenite, il pessimismo che spesso accompagna le prognosi mediche non può essere senz’altro di norma per il giudizio del moralista: si tratta, infatti, il più delle volte di previsioni fondate unicamente sull’efficacia dei mezzi naturali e su esperienze di soggetti, che non hanno conosciuta la potenza correttiva della grazia, Anche se non si riesce a correggere completamente l’istinto, si può, con l’aiuto della grazia, riuscire sempre a dominarlo, ogni qualvolta rimane sostanzialmente integro l’uso della libertà.

Anche in ciò è necessario reagire alle superstizioni del naturalismo.

5. I DOVERI DELL’UOMO RELATIVAMENTE ALLA SUA VITA SPIRITUALE

Intendiamo assumere questo termine ” la vita spirituale dell’uomo ” nella sua accezione più larga, ma propria, comprensiva sia dell’ordine naturale come di quello soprannaturale.

I. DOVERI DI ORDINE NATURALE.

Essi poggiano sul presupposto facilmente comprensibile della preminenza dello spirito e della necessaria convergenza di tutti i valori umani, sul piano naturale, verso i valori dell’intelletto e della volontà, È necessario, tuttavia, tener presente la gerarchia di tali valori, per poter stabilire la gerarchia dei doveri.

Lasciando da parte la questione (vexata quaestio) relativamente al rapporto di preminenza tra intelletto e volontà (454), non si può negare che, nell’ordine etico, è dalla volontà libera che l’attività dell’uomo acquista il suo valore umano e che, contrariamente a quanto ritenne la filosofia stoica, la virtù propriamente non è sapere. Ciò tuttavia non significa disprezzo o sottovalutazione della vita intellettuale.

1. Questa ci è necessaria per l’esplicazione della nostra missione; sicché non si può anzitutto senza grave peccato esporsi al pericolo di perdere la capacità di conoscere. Né si può direttamente abbreviare la vita cosciente dello spirito, sia pure per evitare l’orrore di una morte consapevole (eutanasia).

Ma si arrestano solo a questo minimo i nostri doveri verso la vita intellettuale, o vanno oltre, rendendo obbligatorio l’impiego dei talenti ricevuti da Dio?

A considerare empiricamente il problema, ed a voler dare alla parabola dei talenti un significato più ampio di quello che essa di fatto ha, parrebbe di dover rispondere affermativamente. D’altra parte, accolta tale risposta, sorgono immediatamente nell’animo innumerevoli altri dubbi: come è dato sapere, in ordine al conoscere, tutte le possibilità dei singoli? e come conciliare l’obbligo della cultura per tutti coloro che ne hanno la capacità con gli altri doveri della vita quotidiana e le esigenze della vita sociale? Giacché molti tra coloro che devono, per il loro impiego o la loro arte, limitare necessariamente la loro cultura, avrebbero in sé possibilità assai larghe. Non si tratterebbe, pertanto, nel caso di un dovere utopistico?

Il problema va risolto tenendo presente il fine della cultura, che è, in fondo, il fine stesso del conoscere. Questo è terminalmente ordinato a Dio, il resto ha funzione di via. L’incessante ” propensione ” del pensiero pensante oltre i limiti del pensiero pensato, così bene approfondita ed esposta dal Blondel (455) denunzia chiaramente tale finalità. Il pensiero è continua ricerca di ciò che ancora non si conosce, e pur in un certo senso si divina (che, altrimenti, non potrebbe essere ricercato).

Con ciò non si vuoi negare il valore della conoscenza singolare, ma la sua incompletezza, senza tale complemento; e si vuole anche concludere che il dovere del conoscere non può, per tutti, essere orientante verso ciò che ha ragione funzionale, mentre esiste in ordine a ciò che ha valore di fine. In questo senso si applica anche al conoscere la parabola dei talenti.

Quanto al resto, è necessario considerare la via da ciascuno, scelta per il raggiungimento del proprio fine, ossia la missione di ognuno. In tal modo il dovere del conoscere non può, per tutti, essere orientante verso ciò che si estende, per lo meno, a ciò che è necessario conoscere per esercitare rettamente la propria professione in un determinato ambiente (456).

2. Altro dovere fondamentale, richiesto dal retto amore di sé, riguarda la cura della propria libertà, intesa sia nella sua accezione psicologica, sia nel suo contenuto etico (457).

3. La stessa Scrittura considera un altro bene naturale dell’uomo: l’onore (458). In realtà esso ha un duplice valore e una duplice efficacia: individuale e sociale. La stima degli altri giova non poco a sostenere il nostro animo: ciò dipende dalla nostra finitezza e dalla naturale espansione della nostra personalità nella vita sociale. D’altra parte, per poter giovare agli altri, ordinariamente abbiamo bisogno della loro fiducia.

Di qui il dover di aver cura del nostro buon nome, e di difenderlo, ove sia compromesso, anche se talvolta per motivi superiori si possa permettere il vilipendio. La stima, infatti, è sempre subordinata all’effettivo valore. Lasciarsi dominare dalla preoccupazione del giudizio degli uomini sarebbe contrario alla nostra interiore libertà ed al nostro vero bene. Tanto meno può esso segnare la meta del nostro operare: ciò sarebbe mortificante vanità e rivelerebbe il vuoto dello spirito.

Non bisogna dimenticare che noi abbiamo collocato la cura dell’onore nell’ambito dei doveri di carità verso noi stessi, e che questa non è vera carità se non termina in Dio.

II. NELL’ORDINE SOPRANNATURALE.

1. L’amore della propria anima esige:

a) che ne cerchiamo la salvezza ed anteponiamo questa a qualsiasi altro bene;

b) l’uso dei mezzi necessari per raggiungerla;

c) l’impiego soprannaturale della vita presente;

d) la ricerca della nostra perfezione soprannaturale, conforme a quanto abbiamo detto altrove. Difatti noi non possiamo non volere, dal punto di vista psicologico, il nostro maggior bene; ed il nostro volere non sarebbe ordinato, qualora tale volontà non coincidesse, in concreto, col desiderio del nostro vero bene.

Si lede, pertanto, il dovere di carità verso se stessi non solo col peccato, ma anche con l’esporsi, senza motivo proporzionato al pericolo di peccare, e differendo a lungo, dopo la colpa, la penitenza.

2. Dai principi accennati si ricava facilmente la seguente conclusione: nessuna ragione ne di ordine individuale, ne di carattere sociale può mai giustificare la colpa, sia pure veniale. E ciò vale anche nel caso in cui dal nostro operare derivasse, accidentalmente, un grande onore a Dio. Non può esserci né comandato né permesso di procurare, al di fuori di noi, la gloria di Dio, opponendoci ad essa dentro noi stessi.

Ma è lecito anteporre il bene degli altri al nostro bene spirituale, ove non si tratti di cose necessarie alla salvezza?

Il problema rientra nel problema più ampio dell’ordine della carità, e sarà affrontato a suo luogo. Per il momento è sufficiente osservare che anche quando noi ci dimentichiamo, non possiamo mai perder di vista noi stessi, nel senso che non possiamo, neppur parzialmente, negarci: le nostre azioni, anche quando sono orientale verso gli altri, sono sempre nostre ed hanno sempre un valore immanente. D’altra parte, non possiamo dimenticare il nostro dovere di tendere alla perfezione.

3. Bisogna, peraltro, ricordare che tale dovere riguarda il fine, non si estende, per sé, alla via: questa, anche quando faciliti il raggiungimento della perfezione, è, per sé, oggetto di consiglio.

Inoltre lo stesso consiglio non ha luogo, nei casi concreti, se non nel concorso di tutte le condizioni (possibilità, attitudini, ecc.), che rendono tale via realmente più atta per il raggiungimento della perfezione cristiana. È in questa luce che va inquadrato il problema della vocazione (459).

NOTE
444 Cfr. P. CASTIULON, Education de la pureté, Paris s. d.; J. FONSEGSÌVE, L’éducation de la pureté, Paris 1905; A. GEMELLI, Non moechaberis, Florentiae 1912; GILLET, Innocence et ignorance: éducation de la pureté, Paris 1912; G. OLGIATI, I nostri giovani e la purezza, Milano 1918; T. TIHAMER, Giovinezza pura, Venezia 1928; M. LEPORE, La purezza forza del corpo, Torino 1938; E. PAGANUZZI, Purezza e pubertà, Brescia 1943; A. LEMAIRE, L’educazione della purezza…. Torino 1943; A, LANZA – P. PALAZZINI, o. e., 209 ss,, A, BOSCHI, o, e,, 397 ss,; L. GUARNERO, L’educazione sessuale, Milano 1951; P, PALAZZINI, Educazione, iniziazione sessuale, coeducazione, in fronte della famiglia, 4 (1952) 173-177; E. VALENTINI, Il maestro e l’educazione sessuale dei fanciulli, in Civiltà Cattolica (1952) II, 416-427; A. GRUBER, II dramma della pubertà, Roma 1956; I. VIOLLET, L’educazione della purezza e del sentimento, 2° ed.. Roma 1959; A. PLÉ, Vita affettiva e castità. Roma 1965; V. COSTA, Orientamenti per una psicopedagogia pastorale della castità. Roma 1966; E. FERASIN, Matrimonio e celibato al concilio di Trento, Roma 1970.

445 Cfr. L. GUARNERO, La legge dell’amore. Educazione della sessualità, Torino 1951; C. A. HERBST, Modesty, in Rev. far Religious, 10 (1951) 247-252; G. DA VICOLO, Rimedi contro le tentazioni impure, in Vita Christiana (1950) 53-66; 244-258; A. PICKERING, Religious instruction and purity, in Clergy Rev., 36 (1952) 348-357. Pio XII, enc. Sacra virginitas, 25 marzo 1954; PAOLO VI, enc. Sacerdotalis coelibatus, 24 giugno 1967.

446 Tra i documenti ecclesiastici sull’argomento, cfr. Pio XI, enc. Casti connubii, 31 dicembre 1930: AAS, 22 (1930) 539-592; ID., enc. Divini illius magistri, 31 dicembre 1929: ib. 49-86; Decreto del Sant’Uffizio, 21. marzo 1931: ih 23 (1931) 118; Pio XII, Discorso 26 ottobre 1941: ìb. 33 (1941) 450-458; 18 settembre 1951; 23 settembre 1951; 19 marzo 1953: ib. 43 (1951) 730-734; 734-738. Cfr. poi: A. BOSCHI, Problemi morali del matrimonio, Torino 1953, 397 ss.; A. LANZA – P. PALAZZINI, o. e., 40 ss. e 40 not. 1; DAUPHIN-DURANDIN, Essi vi chiedono come sono nati, Milano 1952; L. GUARNANI, L’educazione della gioventù in ordine al problema sessuale. Roma 1971.

447 In primo luogo i genitori, che dovrebbero essere preparati a tale compito e innanzitutto avere idee rette essi stessi. Cfr. A. LANZA, Natura ed etica della famiglia, in Ricostruzione della famiglia, Roma 1943.

448 Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis n. 1 del 28 ottobre 1965,

449 Cfr. G. FRANCESCHINI, Vita sessuale, Milano 1937, 258 ss.; G. HOORNAERT, A coloro che hanno vent’anni, Torino 1944; G. DE NINNO, Castità ed educazione sessuale, in Cento problemi di coscienza, 2″ ed., Assisi 1959; AA.VV., L’uomo e la sua sessualità, Brescia 1968; M. QUARTANA, La verità sull’origine della vita – Risposte ai nostri figli, Roma 1970.

450 Instructio, della Congr. de Propaganda fide, de scholis publicis, ai Vescovi degli Stati Uniti d’America Sett., 24 novembre 1875; al Vescovo Jassen, 22 agosto 1900; Instructio, 23 aprile 1868, circa scholas et collegio mixta, in Collectanea de Prop. fide, n. 1449, 2093, 1329 ecc. Cfr. H. THURN, Koedukiation psychologisch gesehen, in Stimmen d. Zeit, 149 (1951-1952) 140-143; N. GALLI, Norme di convivenza giovanile: l’amicizia e la vita di gruppo, in Orientamenti pedagogici, 11 (1964) 484-513; P. GIANOLA, Problemi della coeducazione, ib., 657-671.

451 Denz. S, 3698 [2215].

452 Declaratio de educatione della S. Congr. per l’educazione del 1° febbraio 1971.

453 Cfr. A. GEMELLI, Non moechaberis, Florentiae 1912, 71-76, 211-245; V. M. PALMIERI, Medicina legale canonistica, Città di Castello – Bari 1946, 149 ss.; N. PENDE, La scienza moderna della persona umana, Milano 1947, 141 ss.; L. SCREMIN, Dizionario di morale processionale per i medici. Roma 1949, 314 ss.; A. LANZA-P. PALAZZINI, o. c., 20 ss., 181 ss.; A. BONNAR, o. c., 247 ss.; PLÉ, Vita affettiva e castità, Roma 1965, 254.

454 Cfr. A. D. SERTILLANGES, La philosophie morale de S. Thomas d’Aquin, Paris 1916; I. E. VAN ROEY, De virtute charitatis. Quaestiones selectae, Mechliniae 1929; I. MARITAIN, Distinguer pour unir ou les degrés du savoir, Paris 1932; Y. SIMON, Critique la de connaissance morale, Paris 1934; F. TILLMANN, II Maestro chiama, Brescia 1945, 337-361.

455 Cfr. A. POGGI, II problema morale in Maurice Blondel, Genova 1950.

456 GEMELLI, BUONOCORE, ecc,, Professioni e vita morale, Napoli 1935. Cfr. J. DE FINANCE, Existence et liberté, Paris-Lyon 1955.

457 Crf. LEONE XIII, enc. Libertas, 20 giugno 1888.

458 Pr 22, 1; Sap 41, 15. Cfr. P. PALAZZINI, Onore e contumelia, in EC, IX, 135-137.

459 Cfr, A. J. STAFF, Theologia moralis, II, Oeniponte 1846, 329 ss.; P. LADISLAUS A MARIA IMMACOLATA, De vocatione religiosa, Romae 1940; J. B. GEORGES, La vocation sacerdotal en droit ecclésìastique, Québec 1948, M. QUATEMBER, De vocatione sacerdotali, Torino 1950; E. I. FARREL, De vocatione religiosa secundum principia Divi Thomae, St. Louis 1951; E. VALENTINI, Studi sulla vocazione, Torino 1953, Le vocazioni ecclesiastiche nel mondo. Atti del I Congresso internazionale. Città del Vaticano 1962; G. LESAGE, Dinamismo della vocazione, Alba 1967; A. MATANIC, Vocazione e spiritualità. Roma 1968.


 
 
 

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