SAN GIOVANNI CRISOSTOMO – Parte XLIII – LXIII

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO – Parte XLIII – LXIII

Parte XLIII- LXIII

XLIII. Quali sono le necessità presenti di cui parla Paolo

Quali sono le necessità presenti di cui parla qui? I bisogni naturali? Niente affatto. Innanzitutto, se avesse voluto alludere a questi, ricordandoli avrebbe prodotto un effetto contrario alle sue intenzioni, giacché chi vuole sposarsi intende soddisfarli sempre. In secondo luogo, non li avrebbe chiamati “presenti”, giacché sono stati piantati nel genere umano non ora, ma da molto tempo; e mentre prima erano molto forti ed indomabili, ora invece, dopo la venuta del Signore e la crescita della virtú, possono essere vinti piú facilmente. Di conseguenza, non di essi parla l’apostolo, ma di un altro bisogno, che assume molte forme e molti aspetti. Di quale si tratta? Della perversione che regna nelle vicende della vita. Tale è la confusione, tale è la tirannia esercitata dalle preoccupazioni, tale è il numero delle difficoltà, che spesso chi si sposa è costretto anche suo malgrado a commettere peccati ed azioni cattive.

XLIV. E’ piú facile raggiungere il regno dei cieli con la verginità che con il matrimonio

1. Anticamente, in effetti, non ci veniva proposto un così alto grado di virtú: potevamo difenderci dalle offese, rispondere a chi ci biasimava, preoccuparci delle ricchezze, impegnarci con un giuramento, applicare la norma “occhio per occhio”, odiare i nemici: non ci era proibito né vivere nel lusso, né adirarci, né scacciare una moglie e prenderne un’altra. Non solo, ma la legge ci consentiva di avere due mogli nello stesso tempo, e mostrava una grande indulgenza sia in queste cose che in tutte le altre. Dopo la venuta di Cristo, la strada si è fatta invece molto piú stretta: non solo è stata sottratta al nostro potere l’indescrivibile, enorme licenza che regnava in tutte le cose che ho enumerato, ma dobbiamo anche tenerci in casa la moglie, che spesso c’induce e ci costringe a peccare nostro malgrado; nel caso in cui volessimo scacciarla saremmo infatti rei di adulterio.

2. Non solo per questo motivo ci è difficile raggiungere la virtú, ma anche perché, pur ammettendo che la donna che abita con noi abbia un carattere sopportabile, il gran numero di pensieri che ci circonda, causato da lei e dai suoi figli, non ci lascia alzare lo sguardo verso il cielo neanche un momento: a guisa di un turbine, scuote da ogni parte la nostra anima e la sommerge. L’uomo, anche se vuole condurre una vita senza rischi e quieta come un privato cittadino, quando si vede intorno i figli e la moglie che ha bisogno di molto danaro, suo malgrado si tuffa nell’onda degli affari pubblici. Una volta cadutovi, non si possono descrivere i peccati che è costretto a commettere adirandosi, usando modi violenti, giurando, rimproverando, comportandosi da ipocrita e compiendo molte azioni per compiacere o perché spinto dall’odio. Quando è sbattuto da tale tempesta e vuole diventare famoso, come può evitare di tirarsi addosso la grande sporcizia dei peccati? Se poi si considerano le faccende domestiche, si vede che il marito, a causa della moglie, è sommerso dalle stesse difficoltà, e anche da altre maggiori, giacché deve preoccuparsi di tante cose di cui non avrebbe bisogno se fosse solo. Questo succede quando la moglie è buona e mite. Se invece è cattiva, odiosa ed insopportabile, non si può piú parlare di bisogni, ma di supplizi e punizioni. Come potrà percorrere la strada che porta in cielo, che richiede piedi liberi e leggeri ed un’anima agile e spedita, se su di lui incombe il peso di tante faccende, se è legato a ceppi cosí forti, se è sempre trascinato verso il basso da tale catena, rappresentata dalla malvagità della moglie?

XLV. Per coloro che escogitano delle difficoltà superflue non c’è nessuna ricompensa

1. Ma qual è il saggio discorso che la gente comune fa per rispondere a tutte le difficoltà che abbiamo enumerato? Si dice: “Chi realizza la virtú pur tra così grandi costrizioni, non merita forse un onore maggiore?”. “Per quale motivo, o mio caro?”. “Perché sposandosi si è sobbarcato ad una fatica piú forte”. E chi l’ha costretto a portare un tale carico? Se, sposandosi, avesse ubbidito ad un comandamento e non sposandosi avesse trasgredito la legge, questo discorso sarebbe accettabile. Ma se, pur essendo libero di non sottoporsi al giogo del matrimonio, preferisce mettersi in mezzo a così gravi difficoltà senza esservi costretto da nessuno, in modo da rendersi piú aspra la lotta per la virtú, tutto questo non riguarda l’arbitro della gara. Quest’ultimo, infatti, ha comandato una cosa sola: di condurre una guerra contro il diavolo fino al conseguimento della vittoria sulla malvagità. A lui non interessa affatto se questo fine viene raggiunto con il matrimonio, con i piaceri e con le molte preoccupazioni, oppure con l’ascesi, la mortificazione e la noncuranza per tutto il resto. Egli dice che il mezzo per ottenere la vittoria e la strada che conduce al trofeo sono rappresentati dal distacco da tutte le cose mondane.

2. Poiché tu, pur avendo la moglie, i figli e le preoccupazioni che questi si trascinano dietro, vuoi fare una campagna e combattere per raggiungere gli stessi risultati conseguiti da coloro che non si trovano impigliati in nessuna di queste cose e per conquistarti quindi una piú grande ammirazione, forse ci tacceresti ora di presunzione, se ti dicessimo che non puoi arrivare alla loro vetta. Alla fine però il momento della premiazione ti farà capire che la sicurezza è di gran lunga preferibile alla vuota ambizione, e che è meglio ubbidire a Cristo che alla vanità dei propri pensieri. Cristo dice infatti che per raggiungere la virtu non basta che ci stacchiamo dalle nostre cose, se non odiamo noi stessi. Tu invece, pur essendo sporcato da esse, dici di poterle superare. Ma, come ho detto, in quel momento capirai bene quale ostacolo rappresentino per la virtú la moglie e le preoccupazioni relative.

XLVI. Come mai la Scrittura chiama la donna “aiuto dell’uomo” se gli è di ostacolo nella vita perfetta

1. “Come mai dunque — si dirà — la Scrittura chiama aiuto colei che è di ostacolo? E’ detto infatti: facciamo un aiuto simile a lui”. Ed io ti chiederò: come può essere un aiuto colei che ha privato l’uomo di tanta sicurezza, e che l’ha scacciato da quel meraviglioso soggiorno nel paradiso, gettandolo nel tumulto della vita presente? Tutto ciò può fare non chi aiuta, ma chi insidia. “La donna — è detto — è il principio del peccato, ed a causa sua noi tutti moriamo”. Ed il beato Paolo dice: “Adamo non fu ingannato; fu la donna che, ingannata, commise la trasgressione.

2. Come può dunque essere un aiuto colei che ha messo l’uomo in balia della morte? Come può essere un aiuto colei a causa della quale i figli di Dio, o per meglio dire tutti gli abitanti della terra, morirono sommersi assieme alle bestie, agli uccelli ed a tutti gli altri animali? Non sarebbe stata la donna la causa della perdizione del giusto Giobbe, se questi non fosse stato veramente uomo. Non fu la donna a provocare la rovina di Sansone? Non fece la donna del suo meglio, perché tutto il popolo Ebreo fosse iniziato al culto di Beelfegor e venisse trucidato per mano dei suoi fratelli? E chi piú di ogni altro consegnò al diavolo Acaab, e prima di lui Salomone, nonostante la sua grande sapienza e fama? Anche ora, non inducono spesso le donne i loro mariti ad offendere Dio? Non ha forse detto per questo il saggio “Qualsiasi cattiveria è piccola, se paragonata alla cattiveria della donna”?

3 “Come mai dunque — mi si chiede — Dio ha detto: “Facciamogli un aiuto simile a lui”? Dio non mente”. Neanch’io lo dico — non sia mai! la donna fu fatta a tale scopo e per questo motivo, ma, al pari del suo compagno, non volle rimanere nella dignità che le era propria. L’uomo era stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza: “Facciamo — disse infatti Dio — l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, cosí come disse “facciamogli un aiuto”. Una volta creato però l’uomo perse subito entrambe queste prerogative. Non seppe conservare né l’immagine né la somiglianza — e come avrebbe potuto, se si consegnò all’assurdo desiderio, se divenne preda dell’inganno, e se non riuscí a vincere il piacere? L’immagine, suo malgrado, gli fu tolta per tutto il tempo successivo.

4. Dio lo privò di una non piccola parte del suo potere, del privilegio cioè di essere temuto da tutti come un padrone: allo stesso modo, il padrone fa sì che il servo ingrato che l’ha offeso venga disprezzato dagli altri servi. All’inizio, infatti, l’uomo incuteva paura a tutti gli animali. Dio li aveva condotti tutti da lui, e nessuno osava fargli del male o insidiarlo, perché si vedeva risplendere in lui l’immagine regale. Ma dopo che oscurò con il suo peccato questo carattere, Dio lo privò del potere.

5. Il fatto che egli non comanda su tutti gli animali della terra, ma trema di fronte ad alcuni di essi e li teme, non fa apparire falsa l’affermazione di Dio “Comandino sugli animali della terra”: la mutilazione del potere dipese non da chi l’aveva concesso, ma da chi l’aveva ricevuto. Allo stesso modo, le insidie che le donne tendono agli uomini non rendono vana la frase “Facciamogli un aiuto simile a lui”. La donna fu fatta a tale scopo, ma non vi restò fedele. A parte questo, si può anche obiettare che la donna dà il suo aiuto nel tipo di vita presente, per quanto riguarda la procreazione dei figli ed il desiderio fisico; ma quando questa vita era fuori questione e non esistevano né la procreazione né il desiderio, perché si parla di “aiuto” senza ragione? L’uomo, se nelle cose importanti ricorre all’aiuto di colei che è capace di assisterlo solo in quelle di pochissimo conto si accorge che non solo non gli è utile, ma l’incatena con le sue preoccupazioni.

XLVII. Come può la donna essere di aiuto nelle cose spirituali

1. Mi si obietterà: “Come potremo allora rispondere a Paolo, quando dice: “Come puoi sapere, o donna, se salverai tuo marito?” e quando dimostra che il suo aiuto è necessario nelle cose spirituali?”. Io pure sono d’accordo. Non escludo affatto la donna dalla collaborazione nelle cose spirituali — non sia mai! Dico solo che vi riesce, quando non si occupa del matrimonio ma, pur rimanendo donna nella sua natura, si eleva alla virtú degli uomini beati. Non quando si adorna, non quando si dà ai piaceri, non quando chiede al marito sempre piú danaro, non quando è prodiga e portata a spendere, è in grado di conquistarlo: al contrario, può farlo solo quando, elevatasi al di sopra di tutte le cose contingenti, imprime in sé il carattere della vita apostolica; quando fa mostra di una grande mitezza, di una grande modestia, di un grande disprezzo per le ricchezze e di una grande rassegnazione; quando dice: “Se abbiamo di che nutrirci e di che coprirci, ci contentiamo”, quando con il suo comportamento fa vedere di praticare tale filosofia e, disprezzando la morte del corpo, non attribuisce nessun valore alla vita presente; quando, secondo il detto del profeta, ritiene la gloria di questa vita un fiore di campo.

2. La moglie, infatti, non è in grado di salvare il marito unendosi a lui nella sua qualita di sposa, ma soltanto facendo mostra di una vita condotta secondo il vangelo; molte donne sono riuscite in quest’intento anche al di fuori del matrimonio. Si racconta che Priscilla, accolto presso di sé Apollo, gli fece da guida per tutta la strada della verità. Anche se ora questo non è piú possibile, le spose possono sempre mostrare lo stesso impegno e raccogliere gli stessi frutti. Come ho detto prima, la sposa non trascina con sé il marito per il fatto di essere sposa, giacchè nessun marito che ha la moglie credente rimarrebbe non credente, se i rapporti coniugali e la coabitazione realizzassero veramente questo. Ma ciò non si verifica affatto: solo il far mostra di una grande filosofia e di una grande pazienza, il deridere le difficoltà del matrimonio, e l’adozione continua di una tale condotta giovano alla salvezza del coniuge; se invece la sposa insiste nella ricerca dei suoi diritti, non solo non aiuta il marito, ma lo danneggia. Per capire che anche cosí si tratta di un’impresa molto difficile, devi ascoltare ciò che dice l’apostolo: “Come puoi sapere, o donna, se salverai tuo marito?”. Siamo soliti far uso di questo tipo di domanda, quando parliamo di eventi inverosimili.

3. Che cosa dice dopo? “Sei legato ad una donna? Non cercare di liberartene. Sei libero dal legame con una donna? Non cercarne una”. Vedi come passa di frequente da un argomento al suo opposto e come mescola bene le due esortazioni dopo un breve intervallo? Come nel discorso sul matrimonio aveva speso alcune parole sulla continenza per risvegliare l’ascoltatore, cosí anche qui pronunzia delle parole sul matrimonio per farlo riposare. Comincia a parlare della verginità, ma prima di dire qualcosa sul suo conto si rifugia subito nel discorso sul matrimonio. La frase “Non ho un ordine” è di chi consente ed introduce il matrimonio. Dopo essere passato alla verginità ed avere detto “Penso che sia una cosa buona”, accortosi che la frequente ripetizione del suo nome disturbava molto le orecchie delicate, non usa spesso questo termine: pur avendo fornito una ragione che da sola bastava ad incoraggiare le fatiche necessarie a realizzarla — si trattava dei bisogni presenti — non ha il coraggio di parlare di nuovo di “verginità”. Che cosa dice invece? “E’ bene per l’uomo restare cosí”. Non procede nel suo discorso, ma dopo averlo troncato prima che sembrasse troppo severo, spende di nuovo delle parole sul matrimonio dicendo: “Sei legato ad una donna? Non cercare di liberartene”. Se questo non fosse stato il suo scopo, se qui non avesse voluto incoraggiare, non avrebbe avuto alcun motivo di fare della filosofia sul matrimonio mentre dava dei consigli sulla verginità. Ritorna quindi a parlare della verginità, ma neanche ora la chiama con il suo vero nome. Che cosa dice? “Sei libero dal legame con una donna? Non cercarne una”.

4. Ma non temere. Paolo non ha svelato tutto il suo pensiero, né ha legiferato. Il discorso sul matrimonio ritorna subito, dissipando i timori e dicendo “Se però ti sposi, non pecchi”. Non devi però scoraggiarti: ti trascina di nuovo alla verginità. Questo è infatti proprio l’intento delle sue parole, là dove ci fa sapere che chi si sposa deve sopportare un forte tormento carnale. Come i medici più valenti e piú gentili quando devono somministrare una medicina amara o fare un taglio o una cauterizzazione o qualcun’altra di queste cose non fanno tutto insieme ma ad intervalli, e solo dopo avere fatto respirare un po’ l’ammalato applicano quello che c’è ancora da applicare, allo stesso modo anche il beato Paolo non intesse nel suo discorso i consigli sulla verginità tutti insieme, senz’interruzione e continuamente, ma l’interrompe spesso parlando del matrimonio: nascondendo così la loro asprezza, rende le sue parole piú piacevoli e piú accette. Questo è il motivo per cui il suo discorso è cosí vario.

5. Vale ora la pena di esaminare le parole “Sei legato ad una donna? Non cercare di liberartene. Questa è una frase non di chi consiglia il matrimonio, ma di chi vuol mostrare la natura inesorabile del suo legame, che non offre scampo. Perché non ha detto “Hai una moglie? Non la lasciare. Convivi con lei, non allontanarti”, ma ha chiamato “legame” quest’unione? Qui ha voluto mostrare la pesantezza di tale condizione. Poiché infatti tutti corrono al matrimonio come se si trattasse di una cosa piacevole, egli fa vedere come gli sposati non differiscano in nulla da prigionieri legati. Anche nel matrimonio se uno dei due tira anche l’altro deve seguirlo, e se uno dei due si ribella anche l’altro deve perire con lui.

Che cosa accade dunque, se mio marito è portato a cadere in basso ed io voglio essere continente? Devi seguirlo. La catena che il matrimonio ti ha messo intorno ti trascina e tit tira tuo malgrado verso colui che fin dall’inizio è legato assieme a te; se opponi resistenza e cerchi di romperla, non solo non ti liberi dai suoi legami, ma vai incontro alla più grave punizione.

XLVIII. La moglie che pratica la continenza contro il volere del marito sarà punita più di quest’ultimo, che pure si dà alla fornicazione.

1. La moglie che intende praticare la continenza contro il volere del marito non solo si priva dei beni che spettano alla continenza, ma si rende anche responsabile della sua fornicazione e viene accusata ancora più di lui. Come mai? Perchè, privandolo dell’unione legittima, lo spinge nel baratro della lussuria. Se non le è permesso di essere continente neanche per un breve periodo contro il volere del marito, quale perdono può trovare, quando lo priva costantemente di tale consolazione? Si ptrà dire: “Che cosa c’è di più grave di questa costrizione e di quest’insolenza?”. Anch’io sono d’accordo. Perchè dunque ti ci sei sottoposta? Avresti dovuto fare questo ragionamento non dopo il matrimonio, ma prima.

2. Per questo anche Paolo ricorda in un secondo tempo la costrizione derivante dal legame matrimoniale e passa quindi a parlare dell’assenza di tale legame. Dopo aver detto “Sei legato ad una donna? Non cercare di liberartene” aggiunge “Sei libero dal legame con una donna? Non cercarla”. Si comporta così perchè tu, una volta esaminata bene e compresa la forza del giogo, sia più disposto ad accettare il discorso sul celibato. “Se ti sposi – egli dice – non pecchi; se la vergine si sposa, non pecca”. Ecco dove finisce la grande virtù del matrimonio: nel non essere accusati, non nell’essere ammirati. L’ammirazione è infatti una prerogativa della verginità, mentre chi si sposa deve contentarsi di sentirsi dire che non ha peccato. “Perchè dunque – mi si dice – esorti a non cercare una moglie?”. “Perchè una volta legati non ci si può più liberare, perchè la cosa comporta molti tormenti”. “Dimmi – mi si ribatte -, l’unico guadagno che ricaviamo dalla verginità è la fuga dai tormenti di questa vita? E chi potrà sopportare la verginità per questo premio? Chi oserà impegnarsi in tale gara per prendere solo questa ricompensa dopo tanti sudori?”.

XLIX. Perchè Paolo c’indirizza verso la verginità partendo dai piaceri di questa vita.

1. Che cosa dici? Mentre mi esorti a combattere contro i demoni – “la nostra lotta non si svolge contro il sangue e la carne” – mentre mi spingi a resistere alle follie della natura, mentre chiedi a me, fatto di carne e di sangue, di realizzare la stessa virtù delle potenze incorporee ricordi solo i beni della terra, e ti limiti a dire che non avremo i tormenti derivanti dal matrimonio? Perchè mai non ha detto “La vergine, se si sposa, non pecca, ma si priva dei beni della verginità, dei doni grandi ed ineffabili”? Perché non ha passato in rassegna i beni riservati alle vergini assieme all’immortalità? Perché non ha ricordato che esse, prese le lampade per andare incontro allo sposo, entreranno assieme al re nella camera nuziale coperte di gloria e fiduciose, e cne risplenderanno piú di ogni altro restando vicine a1 suo trono ed agli appartamenti regali? Di tutto ciò non fa la benché minima menzione, mentre dal principio alla fine del suo discorso ricorda la liberazione dai dispiaceri della vita. “Credo — egli dice — che questo sia una cosa buona”. Tralasciando di aggiungere “a causa dei beni futuri”, dice invece “a causa delle necessità presenti”. Quindi, dopo aver detto “La vergine se si sposa non pecca”, tace sull’argomento dei doni celesti di cui si priva, ed aggiunge soltanto “Costoro avranno i tormenti della carne”.

2. Egli mantiene quest’atteggiamento non solo fino a questo punto, ma fino alla fine. Non mette avanti la verginità parlando dei beni futuri, ma si rifugia sempre nello stesso motivo, dicendo “Il tempo è breve”. Invece di dire “Voglio che voi nei cieli brilliate e che siate molto piú splendenti delle persone sposate”, si trattiene sulle cose di quaggiú dicendo “Voglio che non abbiate preoccupazioni”. Non si comporta cosí solo qui. Anche quando parla della sopportazione, batte nei suoi consigli la stessa strada. Dopo aver detto “Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere”, dopo avere dato un tale ordine, dopo avere comandato di fare violenza ai bisogni naturali e di schierarsi in battaglia contro un fuoco cosí insopportabile, dopo avere evitato di parlare del cielo e dei beni celesti nel suo discorso sui premi, fa consistere la ricompensa nel danno subito da chi ha commesso il male: “Facendo cosí. accumulerai dei carboni ardenti sul suo capo”.

3. Perché dunque ricorre a questo tipo di esortazione? Non per errore, o perchè ignori il modo di trascinare e convincere l’ascoltatore, ma perché possiede piú di tutti gli uomini la facoltà di persuadere. E questo da che cosa risulta? Dalle sue parole. In che modo? Parliamo innanzitutto di ciò che disse sulla verginità: si rivolgeva ai Corinzi, presso i quali giudicava opportuno di non dover conoscere nulla oltre a Cristo crocifisso, ai quali non poteva parlare come avrebbe parlato a persone spirituali, ai quali dava da bere il latte perché erano ancora carnali, ed ai quali, quando scriveva, muoveva questi rimproveri: “Vi ho fatto bere il latte, non vi ho dato un cibo solido. Non eravate in grado di prenderlo; neanche ora lo siete: siete ancora carnali, e camminate come gli uomini”.

4. Per questo, quando li esorta alla verginità e cerca di distoglierli dal matrimonio, prende le mosse dalle cose di questa terra, vale a dire dalle cose visibili e sensibili. Sapeva bene che, partendo dalle cose terrene, avrebbe potuto trascinare meglio questi miseri, ancora attaccati alla terra ed attratti da essa. Perché mai infatti, dimmi, molti uomini ancora piú rozzi e materiali nelle piccole e grandi cose giurano su Dio e non hanno paura di spergiurare, mentre non sarebbero mai disposti a giurare sulla testa dei loro figli? Eppure, lo spergiuro e la punizione sono molto piú gravi nel primo che nel secondo caso; purtuttavia, tali uomini sono trattenuti piú dal secondo che dal primo giuramento.

5. Anche per quanto riguarda l’aiuto ai poveri, costoro non vengono stimolati tanto dai discorsi sul regno dei cieli, anche se ripetuti piú volte, quanto dalla speranza in qualcosa di utile per i loro figli e per loro stessi in questa vita. Diventano zelanti in tali aiuti soprattutto quando guariscono da una lunga malattia, quando riescono a scampare ad un pericolo, quando ottengono una carica od una magistratura; per farla breve, si può constatare che la maggior parte degli uomini viene spinta dalle cose che si trovano a portata di mano. Queste infatti, proprio perché si fanno maggiormente sentire data la loro vicinanza, nei momenti buoni rappresentano il piú forte incentivo, mentre in quelli dolorosi incutono maggiore paura. Per questo Paolo prese le mosse dalle cose piú vicine quando parlò ai Corinzi e cercò di abituare i Romani alla sopportazione.

6. In effetti l’anima debole, quando riceve un torto, non si libera tanto facilmente dal veleno dell’ira, se sente fare dei discorsi sul regno dei cieli e le vengono offerte delle speranze a lungo termine; questo invece si verifica, quando attende il momento di vendicarsi dell’offensore. Paolo, volendo distruggere il rancore alla radice e svuotare l’ira, ricorda ciò che riesce maggiormente a consolare l’offeso: senza privarlo dell’onore a lui riservato nella vita futura, per il momento cerca di farlo incamminare in qualche modo per la strada della filosofia e di aprirgli la porta della riconciliazione. La cosa piú difiicile è incominciare a realizzare la virtú: dopo quest’inizio, la fatica non è piú tanta.

7. Non si comporta però cosí nostro Signore Gesú Cristo quando parla della verginità o della tolleranza. Nel primo caso, ricorda il regno dei cieli: “Vi sono degli eunuchi — dice — che si sono resi tali per il regno dei cieli”. E quando esorta a pregare per i nemici, non parla del danno che l’offensore deve ricevere, né ricorda i carboni ardenti: lascia che tutte queste cose vengano dette alle persone piccole e meschine, e nelle sue esortazioni prende le mosse da pensieri piú elevati. Di quali si tratta? “Affinché diveniate — dice — simili al padre vostro che è nei cieli”. Guarda quant’è grande il premio. Coloro che ascoltavano queste parole erano Pietro, Giacomo, Giovanni e la rimanente schiera degli apostoli: per questo li attirava ricordando i premi spirituali. Paolo avrebbe fatto lo stesso, se il suo discorso si fosse rivolto a simili persone. Poiché però parla ai Corinzi, ancora imperfetti, concede loro subito il frutto delle loro fatiche, affinché si mettano a praticare la virtú con maggiore impegno.

8. Per questo anche Dio rinunziò ad annunziare agli Ebrei il regno dei cieli, ed accordò loro solo i beni terreni. Per le cattive azioni minacciò non la geenna ma le disgrazie di questa vita, quali la fame, la pestilenza, le malattie, le guerre, le prigionie ed altre simili. Da questi mali infatti vengono piú trattenuti gli uomini materiali, e questi mali temono maggiormente, mentre non tengono in nessun conto le cose che non si vedono e che non sono vicine. Per questo anche Paolo si dilunga di piú sugli argomenti che sono maggiormente in grado di far presa sulla loro rozzezza. Voleva inoltre mostrare che mentre alcuni degli altri beni ci caricano di fatiche in questa vita e riservano tutti i premi alla vita futura, la verginità invece, nel momento in cui viene realizzata, concede una non piccola ricompensa, liberandoci da tante fatiche e preoccupazioni. Assieme a questi due scopi egli ne raggiunse anche un terzo. Quale? Il far ritenere la verginità non impossibile, ma ben possibile. A tale scopo, egli mostra che il matrimonio procura molte piú difficoltà. E’ come se dicesse a qualcuno: “La verginità ti sembra fonte di pene e di fatiche? Io ti dico invece che la devi praticare: è cosí facile, che ci procura un numero di gran lunga inferiore di preoccupazioni rispetto al matrimonio”. “Proprio perché desidero risparmiarvi — egli dice — e non voglio che subiate tormenti, preferisco che non vi sposiate”.

9. “Ma di quali tonnenti si tratta? — mi si potrebbe forse obiettare —. Al contrario, vediamo che il matrimonio procura un grande rilassamento e molti piaceri. Innanzitutto, il potere di soddisfare i propri desideri con tutta tranquillità senza dovere sopportare i violenti assalti della natura contribuisce non poco alla serenità della vita. In secondo luogo, il resto della vita non conosce piú né abbattimenti né squallore, ed è pieno di allegria, di risa e di gioia. La tavola è sontuosa, le vesti sono molli, il letto ancora più molle, i bagni sono continui, i profumi ed i vini non inferiori ai profumi sono a disposizione, al pari di tante altre cose dispendiose, di diverso genere: in tal modo essi servono la carne, procurandole molti piaceri.

L. Il piacere è considerato illegittimo sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.

1. Innanzitutto, queste cose non sono consentite nel matrimonio, che è solito procurare soltanto la libertà degli accoppiamenti, e non quella di godere i piaceri. Ne è testimone il beato Paolo quando dice: “La donna che vive nella dissolutezza è morta”. E se si obietta che queste parole sono state pronunziate a proposito delle vedove, ascolta ciò che dice alle donne sposate: “Analogamente, le donne devono essere vestite in modo decente, e adornarsi con ritegno e temperanza, non con trecce, ori, perle e vesti sfarzose, ma cosí come si addice alle donne che manifestano la loro religiosità attraverso le buone opere”. Non solo in questo passo, ma anche in altri si può notare la sua grande insistenza sulla necessità di non ricercare tali cose.

2. Dice infatti: “Se abbiamo di che nutrirci e coprirci, ci contentiamo. Chi vuole essere ricco, diviene preda di desideri stolti e dannosi, che fanno precipitare gli uomini nella rovina e nella perdizione”. Ma perché parlare di Paolo, che pronunziava tali parole all’epoca della somma filosofia e dell’abbondante grazia dello spirito? Ascolta come il profeta Amos attacca aspramente coloro che si danno ai piaceri: eppure, parlava agli Ebrei ancora bambini, in un tempo in cui erano consentiti il lusso, lo sfarzo e per così dire tutte le cose superflue. Dice: “Guai a coloro che vanno verso il giorno cattivo, che si avvicinano ai falsi sabati fino a toccarli, che dormono su letti di avorio, che sono dissoluti sui loro giacigli, che mangiano i capretti del gregge ed i vitelli da latte presi dalle mandrie; che battono le mani al suono degli strumenti, che bevono il vino filtrato e che si ungono con i profuni piú preziosi: pensano che questi beni siano stabili e non caduchi”.

LI. Anche se il piacere fosse permesso, i dolori prodotti dal matrimonio basterebbero a distruggerlo.

Come ho detto, in primo luogo i piaceri non erano consentiti; ma anche se non fossero stati vietati e se tutto fosse stato permesso, va ricordato che altri fattori opposti sono causa di tristezza e di dolore; anzi, sono tanto piú numerosi e piú forti dei piaceri, che non è possibile provare questi ultimi neanche un poco: essi si dileguano completamente.

LII. Del grande male rappresentato dalla gelosia.

1. Dimmi: se un uomo è per natura geloso, o se un pretesto infondato lo fa divenire preda di questo male, che cosa è piú pietoso di quest’anima? Quale guerra, quale tempesta possiamo paragonare alla sua casa, per ottenere un’immagine fedele? Tutto gronda di dolori, di sospetti, di discordia e di confusione. Chi è colpito da tale pazzia non sta meglio degl’indemoniati o di coloro che sono vittime di una malattia mentale: continuamente scatta e si slancia, odia tutti e sfoga la sua ira sui presenti anche se non hanno colpa, si tratti dei servi, dei figli o di qualsiasi altro. Ogni gioia è scacciata, e tutto è pieno di tristezza, di dolore e di avversione. Rimanga a casa, vada in piazza o intraprenda un viaggio, fa sempre nascere questo terribile male, che è peggiore della morte e che eccita ed irrita la sua anima senza lasciarla mai tranquilla. In effetti, tale malattia è solita produrre non solo la tristezza, ma anche un’ira intollerabile. Ciascuno di questi mali è sufficiente da solo a rovinare la sua vittima; quando però tutti insieme la cingono d’assedio e la stringono continuamente senza permetterle di respirare neanche per un breve momento, quante morti sarebbero peggiori? Neanche l’estrema povertà, neanche una malattia inguaribile, neanche il fuoco o il ferro possono essere definiti mali uguali: soltanto coloro che l’hanno sperimentata lo sanno bene. Quando il marito si vede costretto a sospettare sempre della donna che ama piú di ogni altra persona, e per la quale darebbe volentieri la propria vita, che cosa è piú in grado di consolarlo?

2. Se deve mangiare e bere, l’uomo geloso pensa che la tavola sia piena di veleni mortali piuttosto che di vivande; e quando si corica e giace sul letto, non riesce a stare quieto neanche un momento, ma si agita e si rivolta come se avesse sotto di sé dei carboni: né la compagnia degli amici, né il pensiero degli affari, né la paura dei pericoli, né lo smodato piacere né alcun’altra cosa è in grado di allontanarlo da tale tempesta, che s’impadronisce della sua anima più di qualsiasi gioia e dolore. Tenendo presente questo, Salomone disse: “Dura come la morte è la gelosia”, e “l’animo di suo marito è pieno di gelosia; nel giorno del giudizio non la risparmierà: nessuna ricompensa muterà il suo odio, ed i molti doni non varranno a dissolverlo”.

3. Cosí forte è la pazzia prodotta da questa malattia, che neanche il castigo del colpevole riesce ad eliminare il dolore. Spesso molti mariti, pur avendo ucciso l’adultero, non riescono ad estirpare l’ira e lo scoraggiamento. Ci sono amche uomini che, dopo avere ucciso le proprie mogli, si lasciano consumare dal fuoco della gelosia in misura simile o anche maggiore. Il marito vive in preda a questi mali, anche quando non c’è nulla di vero; e la moglie misera e sfortunata deve sopportare dolori ancora piú forti di quelli del coniuge. Quando infatti vede imbestialirsi e diventare nemico piú di ogni altro l’uomo che avrebbe dovuto consolarla da tutti i dolori e da cui avrebbe dovuto attendersi ogni assistenza, dove potrà piú guardare? Dove dovrà fuggire? Dove potrà trovare la liberazione dai suoi mali, se il porto è coperto e pieno di un’infinità di scogli?

4. Allora i servi e le serve la trattano in modo piú oltraggioso di suo marito. Questa razza di persone è sempre infida ed ingrata, ma quando può prendersi una maggiore libertà e vede padroni in discordia tra loro, considera tale guerra un ottimo pretesto per oltraggiare. In questi momenti, possono infatti inventare ed immaginare tutto ciò che piace loro senza alcun timore, e con le loro calunnie accrescono i sospetti. L’anima del marito, una volta divenuta preda di tale funesta malattia, crede volentieri a tutto, ed aprendo le orecchie a tutti indifferentemente, non riesce a distinguere i calunniatori da coloro che non lo sono. Anzi, sembrano dire la verità piú coloro che accrescono i sospetti che coloro che cercano di dissiparli.

5. La moglie deve quindi temere non meno del marito gli schiavi pronti a fuggire che vivono nella sua casa e le loro mogli, e prendere il loro posto abbandonando il rango che le è proprio. Quando potrà vivere senza piangere? In quale notte? In quale giorno? In quale festa? Quando potrà evitare i sospiri, i lamenti, i gemiti? Continuamente la colpiscono le minacce, le offese e gli oltraggi sia del marito che ha ricevuto una ferita inunaginaria sia dei servi miserabili; custodi e spie la sorvegliano, e tutto è pieno di paura e di tremito. Non solo vengono sorvegliate le sue entrate e le sue uscite, ma vengono esaminate con molta attenzione anche le sue parole, i suoi sguardi, i suoi sospiri: in tal caso, o deve rimanere piú immobile di una pietra, sopportare tutto in silenzio e restare sempre inchiodata alla camera nuziale peggio di un prigioniero; o, se vuole parlare, lamentarsi ed uscire, deve rendere conto di tutto a questi giudici corrotti — parlo delle ancelle e della folla dei domestici.

6. Se vuoi, in mezzo a tutte queste disgrazie metti pure le ricchezze indescrivibili, la sontuosità della mensa, le schiere dei servi, lo splendore della stirpe, la grande potenza, la grande fama, il lustro degli antenati; non lasciare nessuna delle cose che sembrano rendere invidiabile questa vita; metti tutto insieme con attenzione, e raffrontalo con questi tormenti: vedrai che il piacere prodotto da tali cose non è neanche una parvenza, e si dilegua com’è naturale che si spenga una scintilla che cade in un vasto mare. Ciò succede quando è il marito ad essere geloso; quando invece la malattia si trasferisce alla moglie — e questo accade non di rado — il marito si trova in migliori condizioni di lei, mentre la maggior parte del dolore si riversa di nuovo sulla poveretta, che non può fare uso delle stesse armi nei confronti del marito di cui sospetta. Quale marito potrebbe infatti mai accettare l’ordine della moglie di rimanere sempre in casa?

7. Quale servo può d’altra parte avere il coraggio di sorvegliare il padrone, senza essere subito gettato da un precipizio? La moglie non può consolarsi con questi mezzi, né dare sfogo alla propria ira con le parole: il marito può forse sopportare questo suo malumore una o due volte, ma se lei continua sempre ad accusarlo le insegna subito che è meglio sopportare tutto in silenzio e consumarsi. Questo accade quando c’è un semplice sospetto. Quando invece il male è reale, nessuno può sottrarre la moglie alle mani del marito offeso, che, invocando in suo soccorso le leggi, conduce in tribunale la persona a lei piú cara e la fa uccidere. Il marito, al contrario, può sfuggire alla pena della legge, anche se gli è riservata la condanna celeste, quella di Dio. Ciò non basta però a consolare la misera, che va necessariamente incontro ad una morte lenta e pietosa, prodotta dagl’incantesimi e dalle pozioni approntate dalle adultere. Vi sono poi delle adultere che non hanno bisogno di ricorrere a questi mezzi insidiosi nei confronti delle loro vittime, perché queste vengono rapite prima dalla morte, data la veemenza della loro disperazione. Di conseguenza, anche se tutti gli uomini corrono al matrimonio, le donne non devono inseguirlo. Non possono dire che la tirannia del desiderio è troppo forte; d’altra parte, come il nostro discorso ha dimostrato, sono esse a raccogliere il maggior numero dei mali del matrimonio.

8. “E che? — mi si obietta —. Questa disgrazia tocca a tutti i matrimoni?”. Essa però non resta lontana da ogni matrimonio, mentre si tiene ben lontana da ogni persona vergine. La donna sposata, anche se non ne è vittima, è sempre vittima della paura che essa produce: colei che intende convivere con un uomo non può non soppesare e temere le cose brutte collegate con tale convivenza. La vergine, al contrario, resta esente non solo dalle disgrazie, ma anche dai sospetti. “Questo però non si verifica in tutti i matrimoni”. Neanch’io lo dico; ma anche se non capita un male, ce ne sono molti altri, e se si sfugge ad uno, non è possibile sfuggire a tutti quanti: come, nel caso delle spine che si attaccano alle vesti quando si attraversa una siepe, se ci si volta per toglierne una si è punti da molte altre, così nella vita matrimoniale chi sfugge ad un male è trafitto da un altro, e chi ne evita uno inciampa in un altro; in una parola non si può trovare un matrimonio in cui manchino completamente i dispiaceri.

LIII. Il matrimonio con una donna ricca non è invidiabile, e provoca piú dolori del matrimonio con una donna povera.

Ma, se vuoi, lasciamo da parte tutti gli aspetti spiacevoli, e prendiamo ora in esame più da vicino la cosa che nel matrimonio sembra rappresentare la somma felicità e che spesso molti, anzi tutti si augurano di ottenere. Di che cosa si tratta? Del prendere in sposa, quando si è poveri, semplici e modesti, una moglie discendente da una famiglia importante, potente e molto ricca. Ma questa cosa così invidiabile si rivela in realtà foriera di disgrazie non minori di quelle dell’altro matrimonio tanto detestato. Le donne sono una razza portata più di ogni altra all’alterigia ed alla debolezza, e divengono più facilmente preda di queste malattie. Quando poi hanno a portata di mano un gran numero di pretesti per manifestare la loro alterigia, nulla più le trattiene: come la fiamma che si attacca ad una materia, si gonfiano in un modo indicibile, e sconvolgono ogni ordine, mettendo tutto sottosopra. In tal caso infatti la moglie non consente al marito di rimanere il capo, ma, spinta dalla sua presunzione e demenza, lo scaccia da questo posto e lo relega in una posizione subordinata, che invece spetterebbe a lei: così, è lei a diventare il capo. Che cosa c’è di peggio di quest’anomalia? Non parlo poi dei rimproveri, delle offese, dei dispiaceri, cose più insopportabili di ogni altra.

LIV. Se si riesce a sottomettere la moglie ricca, i dispiaceri si fanno ancora piu grandi .

E se si dicesse — l’ho sentito dire a molti, quando capita di fare questi discorsi: “Mi basta che sia molto ricca; per me, non è un problema sottometterla ed umiliare la sua presunzione”; se si dicesse questo, innanzitutto si mostrerebbe d’ignorare che si tratta di un’impresa molto difficile. In secondo luogo, anche se si riuscisse, il danno non sarebbe lieve. Il fatto che la moglie viene sottomessa al marito con la costrizione, il timore e la violenza è molto più penoso e doloroso dell’esercizio di un pieno potere su di lui. Come mai? Perché questa violenza scaccia ogni amore ed ogni piacere; e quando non c’è né l’amore né il desiderio amoroso, ed al loro posto subentrano la paura e la costrizione, che cosa vale più un simile matrimonio?

LV. Sposare un uomo piu ricco è un male insopportabile.

Questo accade quando è la moglie ad essere ricca. Se invece la moglie non ha nulla mentre il marito è ricco, la moglie, invece di essere sposa, diventa serva, e da donna libera che era si trasforma in schiava: perduta la sicurezza propria del suo rango, non si trova in una situazione migliore di quella degli schiavi comprati; e se il marito vuol fare lo sregolato o ubriacarsi o portare nel suo letto una folla di cortigiane, deve o sopportare tutto e fare buon viso, o abbandonare la casa. E questa non è la sola cosa brutta: quando il marito è così, la moglie non è in grado di comandare liberamente né i servi né le ancelle; vivendo come un’estranea, godendo di cose che non le appartengono, e coabitando con un padrone più che con un marito, è costretta a fare tutto ed a soffrire. Qualora poi un uomo volesse sposare una donna di condizione simile alla sua, la legge della sottomissione rovina ogni uguaglianza, anche se l’entità del patrimonio spinge la moglie a considerarsi uguale al marito. Che cosa si può fare di fronte a difficoltà così grandi, che insorgono ad ogni passo? Non citarmi come esempio i matrimoni — molto pochi e facili a contarsi — che sfuggono a questi mali: è bene definire le cose non in base alle eccezioni, ma in base a ciò che capita di regola.

LVI. La donna sposata è costretta a soffrire molti dolori

1. E’ ben difficile, anzi è impossibile che questi mali si presentino durante lo stato verginale, mentre è difficile che non capitino durante il matrimonio. E se nei matrimoni che sembrano felici insorgono così forti dispiaceri e così gravi disgrazie, che cosa si dovrebbe dire e a proposito dei matrimoni che, per comune ammissione, sono fonte di dolori? E’ fatale che la donna, anche se deve morire una volta sola, non tema la morte di una sola persona e che non si preoccupi di un’unica vita, pur possedendone una sola: grande è la sua trepidazione per il marito, per i figli, per le loro mogli e per i loro figli, e quanto più la radice si divide nei vari rami, tanto più si moltiplicano le sue ansie. Se a qualcuna di queste persone capita o un danno economico o una malattia fisica o qualche altro male non voluto, essa deve affliggersi e lamentarsi non meno delle vittime dirette. Quando tutti i congiunti muoiono prima di lei, il dolore le diventa insopportabile; quando invece alcuni restano in vita, mentre altri sono rapiti da morti premature, neanche in questo si può trovare una vera e propria consolazione.

2. L’ansia per le persone vive che continua a scuotere l’anima non è inferiore al dolore che prova per i morti ma lo supera, per quanto strano ciò possa sembrare. Il tempo suole infatti mitigare la tristezza prodotta dalle morti, mentre le preoccupazioni per i vivi sono destinate a continuare sempre, e a cessare solo con la morte. Quale vita conduciamo se, non contentandoci dei nostri dolori, siamo costretti a piangere sulle disgrazie altrui? Spesso molte donne discendono da genitori illustri, vengono allevate nei più grandi agi e vengono fatte sposare ad uomini molto potenti; eppure all’improvviso, prima ancora di potere assaporare questa felicità, al sopraggiungere di una calamità simile ad una tempesta o ad una burrasca, vanno a fondo e sperimentano gli orrori del naufragio; dopo aver goduto di un’infinità di beni prima del matrimonio, una volta sposatesi piombano nell’estrema disgrazia. “Ma questo — mi si obietta — non suole accadere in tutti i matrimoni né si verifica sempre”. Ed io torno a ripetere: non si può però neanche dire che tutti i matrimoni ne siano esenti: da una parte, alcune persone fanno diretta esperienza di tali disgrazie; dall’altra, quelle che sono riuscite ad evitare la prova sono angustiate dall’attesa. Ogni vergine, invece, rimane al di sopra di ogni prova e di ogni attesa.

LVII. Dei dolori che colpiscono ogni matrimonio.

1. Ma se vuoi lasciamo stare tutto questo ed esaminiamo ora i mali che la natura assegna al matrimonio ed ai quali nessuno può sfuggire, lo voglia o no. Quali sono? I dolori del parto, la generazione ed i figli. Ma riprendiamo il discorso da un punto più alto, e cerchiamo di capire ciò che avviene prima del matrimonio, per quanto ci è possibile (queste cose le conosce infatti con esattezza soltanto chi le ha sperimentate). E’ giunto il tempo del fidanzamento, e subito preoccupazioni di vario tipo si affollano nella mente della donna: l’uomo che sta per sposare può avere dei bassi natali o una cattiva reputazione, o può essere arrogante, ingannatore, millantatore, insolente, geloso, meschino, sciocco, malvagio, duro, effeminato. Certo, non è detto che tutti questi mali debbano colpire tutte le donne che si sposano; ma è fatale che tutte se ne preoccupino molto. Quando non si conosce ancora l’uomo assegnato e le speranze sono incerte, l’anima della donna trema piena di timore di fronte a tutto e pensa a tutti i mali possibili. Chi poi dicesse che essa potrebbe rallegrarsi pensando ai beni contrari, sappia che la speranza dei beni non ci consola nella stessa misura in cui ci addolora il timore dei mali. I beni producono la gioia solo quando poggiano su speranze sicure, mentre i mali, anche quando vengono soltanto sospettati, subito scompigliano e sconvolgono l’anima.

2. Come nel caso degli schiavi l’incertezza sui futuri padroni non dà tregua alle loro anime, così l’anima delle vergini, per tutto il periodo del fidanzamento, assomiglia ad una nave sbattuta dalla tempesta. Ogni giorno i loro genitori accolgono o scacciano i pretendenti; il pretendente che ieri ha vinto può essere oggi vinto da un altro, il quale può a sua volta essere scacciato da un altro ancora. Accade anche che alla vigilia stessa del matrimonio quello che era ritenuto lo sposo se ne vada a mani vuote, mentre un altro a cui non si pensava affatto riceve in sposa la ragazza dai genitori. E non solo le donne, ma anche gli uomini hanno forti preoccupazioni: mentre sul conto degli uomini ci si può informare, come ci si può informare sul carattere o sull’aspetto di una donna che rimane sempre chiusa in casa? Questo accade all’epoca dell’innamoramento. Quando poi si giunge al matrimonio, l’angoscia cresce e le paure soverchiano le gioie; la sposa teme di sembrare già dalla prima sera poco attraente e di gran lunga inferiore alle aspettative del marito. Essa può sopportare un disprezzo successivo, che subentra all’ammirazione iniziale; ma se, per così dire, suscita repulsione fin dal punto di partenza, quando potrà mai essere ammirata?

3. E non dire: “Che cosa succede invece se è bella?”. Neanche in questo caso si libera dalle sue preoccupazioni. Molte donne splendenti nella loro bellezza fisica non riescono a catturare i loro mariti, che abbandonano per darsi ad altre inferiori a loro. E anche quando questa preoccupazione svanisce, ne sopraggiunge un’altra: nuovi dispiaceri insorgono al pagamento della dote, quando il suocero non la dà volentieri perché sa di dare un deposito a fondo perduto, e quando lo sposo, pur essendo ansioso di prenderla, si vede costretto ad essere cauto nelle sue richieste di riscossione; la sposa si vergogna del ritardo ed arrossisce di fronte al marito, perché ha un padre che è il peggiore debitore. Ma ora tralascio tutto questo.

4. Anche se questa preoccupazione svanisce, subito subentrano la paura della sterilità e, in aggiunta, quella di una prole molto numerosa; se nessuna di queste due eventualità è ancora chiara, le spose fin dall’inizio del matrimonio sono agitate da entrambi i pensieri. Se la sposa diventa subito incinta, la gioia si mescola alla paura, perché da quest’ultima nulla nel matrimonio è disgiunto; si teme che il feto concepito vada distrutto in un aborto, e che la donna incinta corra l’estremo pericolo. Se invece prima del concepimento intercorre un lungo periodo di tempo, la donna si perde d’animo, come se il generare dipendesse da lei. Quando poi giunge il momento del parto, il ventre, già messo a dura prova per tanto tempo, è colpito e tirato dai dolori, che da soli bastano ad oscurare tutte le gioie del matrimonio. Oltre a questo, altri pensieri la turbano. La povera e sfortunata ragazza, pur essendo torturata da così forti dolori, teme non meno di questi di dare alla luce un figlio mutilato e storpio in luogo di un figlio integro e sano, o di avere una femmina invece di un maschio. Quest’angoscia, in effetti, non tormenta in quel momento le partorienti meno dei dolori del parto: hanno paura dei mariti non solo nelle cose di cui sono responsabili, ma anche — e in misura non minore — in quelle in cui sono esenti da qualsiasi responsabilità. Trascurando la propria sicurezza in un momento di così grave pericolo, si preoccupano di non far succedere nulla che sia sgradito al marito. E dopo che il bambino è caduto a terra ed ha emesso il primo vagito, si affacciano altre preoccupazioni, quelle relative alla sua incolumità ed al suo allevamento.

5. Ed anche se il bambino generato ha una buona natura ed è portato alla virtù, i genitori temono che gli capiti qualcosa di male, che sia vittima di una morte prematura, che si lasci prendere da qualche vizio. Non è vero soltanto che da cattivi si può diventare buoni: anche da buoni si può diventare vili e cattivi. E se si verifica qualcuno di questi eventi esecrabili, il dolore che ne deriva è più insopportabile di quello che si sarebbe provato se la stessa cosa fosse avvenuta all’inizio. Se poi tutte le qualità buone restano salde, la paura di un cambiamento continua sempre a scuotere l’animo dei genitori e ad eliminare una buona parte del piacere. “Ma non a tutte le persone sposate capita di avere figli”. Ammetti dunque un altro motivo di tristezza? Quando gli sposi sono presi da differenti dolori e preoccupazioni, ci siano o no i figli, o siano essi buoni o cattivi, come possiamo chiamare piacevole la vita matrimoniale?

6. Se poi gli sposi vivono d’amore e d’accordo, si affaccia il timore che la morte venga a recidere il piacere. E’ più esatto dire che in tal caso non si ha a che fare con una semplice paura: il male non consiste soltanto nella sua attesa, ma fatalmente si realizza modo concreto. Nessuno è stato mai in grado d’indicare due persone sposate che siano morte entrambe nello stesso giorno: non essendo ciò possibile, resta solo l’obbligo di sopportare una vita molto più dolorosa della morte, si sia vissuti insieme per molto tempo o per poco. Chi ha infatti sperimentato una lunga convivenza, riceve un dolore in proporzione più grande, giacché la lunga dimestichezza rende insopportabile la separazione e chi, quando il suo desiderio è ancora veemente, si vede privato dell’amore che non ha potuto gustare e di cui non ha ancora potuto saziarsi, piange per questo ancora più dell’altro: per cause opposte, entrambi sono vittime di uguali dolori.

7. E perché ricordare le separazioni che nel frattempo si verificano, le lunghe assenze, le ansie che le accompagnano, e le malattie? “Ma che cosa ha a che fare questo con il matrimonio?” mi si obietta. Spesso, molte donne si ammalano soprattutto per colpa sua. Quando sono vittime di violenza e d’ira, si produce in loro una febbre dovuta ora alla rabbia, ora allo scoraggiamento. Se invece, quando il marito è presente, non solo non soffrono nulla di tutto questo, ma godono delle sue continue gentilezze, quando egli si allontana incappano negli stessi dolori. Ma anche se lasciassimo andare tutto questo e non muovessimo più accuse al matrimonio, non potremmo scagionarlo anche di un’altra colpa. Di quale? Il matrimonio non permette all’uomo sano di stare meglio del malato, ma lo fa piombare nello stesso scoraggiamento che prova l’uomo allettato,

LVIII. Il matrimonio, anche se sfugge ad ogni dolore, non ha in sé nulla di grande

Vuoi che, prescindendo da tutto ciò, supponiamo nel nostro ragionamento l’impossibile ed ammettiamo l’esistenza di un matrimonio in cui sono presenti tutti i beni, vale a dire la prole numerosa e buona, la ricchezza, una moglie saggia, bella ed intelligente, la concordia ed una lunga vecchiaia? Aggiungiamo pure il lustro della stirpe e la grande potenza, e supponiamo che un matrimonio simile non venga disturbato dal timore di un cambiamento, la malattia che è propria della nostra natura; sia bandito ogni motivo di tristezza, ogni pretesto che possa dar adito a preoccupazioni ed angustie; nessuna ragione, nessuna morte prematura sciolga tale matrimonio; tutti e due i coniugi muoiano nello stesso giorno; oppure — e questa sembra la più grande felicità — i figli restino gli eredi, ed accompagnino alla tomba i genitori morti dopo una lunga vecchiaia. Ma qual è la conclusione? Quale guadagno traggono i coniugi da questo piacere, nel momento in cui partono per l’altra vita? Il lasciare molti figli, l’avere goduto di una bella moglie, delle ricchezze e di tutte le altre cose che ho appena enumerato, l’avere trascorso una lunga vecchiaia, di quale aiuto potranno mai essere di fronte a quel tribunale, nella sfera delle cose eterne e vere? Di nessun aiuto. Tutto questo non è forse un’ombra ed un sogno? Che cosa accade dunque, se mio marito è portato a cadere in basso ed io voglio essere continente? Devi seguirlo. La catena che il matrimonio ti ha messo intorno ti trascina e ti tira tuo malgrado verso colui che fin dall’inizio è legato assieme a te; se opponi resistenza e cerchi di romperla, non solo non ti liberi dai suoi legami, ma vai incontro alla più grave punizione.

LIX. La verginità è una cosa facile

La vergine non è costretta a prendere informazioni sul suo sposo, né teme d’essere vittima di un inganno. Lo sposo è infatti Dio, non un uomo; e il Signore, non un compagno di schiavitù: tanto grande è la differenza tra i due sposi. Esamina anche le condizioni dell’unione. I doni nuziali offerti a tale fidanzata non sono rappresentati dagli schiavi, dalle misure di terreno e da un certo numero di talenti d’oro, ma dai cieli e dai beni celesti. Per di più, la donna sposata teme la morte oltre che per altri motivi anche perché la separa dal consorte. La vergine, invece, desidera la morte e considera la vita come un peso, ansiosa com’è di vedere il suo sposo “faccia a faccia” e di godere della sua gloria.

LX. La verginità non ha bisogno di nessuna delle cose che non dipendono da noi

1. Neanche una vita da miseria può danneggiare la vergine, come accade invece nel matrimonio; anzi, essa rende ancora più gradita allo sposo colei che la sopporta di buon grado. Lo stesso vale per i bassi natali, per l’assenza di una bellezza fisica risplendente e per le altre cose dello stesso genere. Ma perché parlarne? Neanche il non essere libera nuoce al suo fidanzamento: le basta mostrare un’anima bella e raggiungere il primo posto. In tale stato, non c’è motivo di temere la gelosia o di provare una dolorosa invidia nei confronti di un’altra donna che si è unita ad un uomo più illustre. Nessun uomo è infatti simile o uguale al suo sposo, nessuno gli si avvicina neanche un po’; nel matrimonio, invece, la donna sposata, anche se ha un marito molto ricco e potente, può sempre trovarne un’altra con un marito di condizione molto più alta.

2. L’essere superati da persone più importanti non diminuisce in lieve misura il piacere che si prova quando si superano gl’inferiori. Ma il grande sfarzo negli ori, nelle vesti, nella tavola e nelle altre comodità basta da solo ad incantare l’anima e ad attrarla. Ma quante donne ne godono? La maggior parte uomini vive nella povertà, nelle ristrettezze e nelle fatiche. Se ci sono donne che possono godere di tali beni, sono molto poche, e si possono facilmente contare; esse agiscono però contro il volere di Dio. Come abbiamo mostrato in precedenza nel nostro discorso, a nessuno è consentito vivere in questi piaceri.

LXI. I1 portare addosso gli ori produce più paura che piacere

Ma supponiamo pure nel nostro ragionamento che questo lusso sia permesso, e che né il profeta né Paolo si dichiarino contrari alle donne che amano troppo lo sfarzo. Ma di quale utilità sono i molti ori? Non producono altro che invidie, preoccupazioni e timori non indifferenti. Le donne che li possiedono si agitano non solo quando li ripongono nello scrigno al sopraggiungere della notte, ma anche quando li indossano: quando è giorno, provano la stessa ansia, o piuttosto un’ansia ancora più forte, giacché i bagni e le chiese sono frequentate da donne che li rubano. Ma anche non tenendo conto di queste ultime, accade spesso che le donne che portano gli ori, spinte e premute dalla folla, non si accorgono che qualche oggetto d’oro è caduto. Così pure, molte perdono non solo questi ori, ma collane di valore ancora maggiore, fatte di pietre preziose che, strappate, finiscono con il cadere. Ma ammettiamo pure che non sussista neanche questa paura, e che tale preoccupazione venga bandita.

LXII. I1 portare addosso gli ori nuoce alla bellezza e mette in risalto la bruttezza

1. Si dice: “Altri vedono ed ammirano”. Ammirano però non la donna che indossa gli ori, ma gli oggetti indossati, e spesso la disprezzano per colpa loro, come se se ne fosse adornata senza esserne degna. Se infatti la donna è bella, gli ori danneggiano la bellezza naturale, perché i molti ornamenti non le permettono di mostrarsi così com’è, e ne eliminano la maggior parte; se invece è brutta e di aspetto sgradevole, essi la fanno apparire ancora più repellente: la bruttezza, quando appare da sola, si rivela unicamente per quello che è; ma quando si riveste di pietre risplendenti e di altri materiali belli, il suo aspetto sgradevole risalta ancora di più.

2. I1 colore nero di un corpo è fatto risaltare maggiormente dalla luce di una perla posta su di esso, che risplende come nell’oscurità; allo stesso modo, gli ornamenti delle vesti, non permettendo all’impressione visiva di affrontare da sola il giudizio degli spettatori, peggiorano la deformità dell’aspetto: di fronte a quella bellezza artificiale e straordinaria, la sconfitta diviene ancora più netta. L’oro disseminato sulle vesti, la varietà dei lavori eseguiti in questo campo, e tutti gli altri ornamenti – al pari di un atleta valente, in buone condizioni e vigoroso, che respinge un avversario coperto di scabbia, brutto ed affamato – annullano lo splendore del viso di colei che l’indossa ed attirano su di sé l’attenzione degli spettatori: di conseguenza, mentre la donna viene derisa, essi vengono ammirati oltre misura.

LXIII. Quali sono gli ornamenti e qual è la bellezza della verginità

1. Gli ornamenti della verginità non sono però di tale natura. Non danneggiano colei che l’indossa, giacché non sono corporei, ma appartengono interamente all’anima. Per questo, anche se la vergine è brutta, subito ne trasformano la bruttezza, rivestendola di una bellezza straordinaria; se invece essa è bella e risplendente, ne accrescono lo splendore. Le anime delle vergini non sono infatti adornate dalle pietre, dagli ori, dalle vesti sfarzose, dai vari e ricchi ricami colorati, o da qualcun’altra di queste cose caduche, ma, in loro vece, dai digiuni, dalle veglie sacre, dalla mitezza, dalla bontà, dalla povertà, dal coraggio, dall’umiltà, dalla perseveranza – in una parola, dal disprezzo di tutte le cose della vita presente.

2. L’occhio della vergine è così bello ed incantevole che fa innamorare, in luogo degli uomini, le potenze incorporee ed il loro padrone; è così puro e limpido, che è in grado di vedere in luogo delle bellezze corporee quelle incorporee, e così mite e tranquillo che non si adira mai e non si rivolta neppure contro chi le fa del male e le procura continuamente dei dolori; al contrario, guarda costoro in modo dolce e soave. Tale modestia la riveste, che anche gl’intemperanti, guardandola bene, si vergognano, arrossiscono e mitigano la propria follia. Come l’ancella che serve una padrona modesta deve assumere anch’essa questo carattere anche se non lo vuole, così anche la carne della persona che pratica tale filosofia deve uniformarsi ai suoi movimenti ed impulsi. Lo sguardo, la lingua, l’aspetto, l’andatura ed in una parola tutto ricevono un’impronta dall’ordine interiore. Come un profumo prezioso, anche se è racchiuso in un vaso, impregna l’aria della propria fragranza ed inebria non solo quelli che si trovano in casa o che sono vicini, ma anche quelli che sono fuori; allo stesso modo la fragranza dell’anima della vergine, diffondendosi nei sensi, rivela la virtù interiore, mette a tutti i cavalli le auree redini dell’ordine ed assicura il perfetto ritmo di ciascuno di loro; non permette alla lingua di pronunziare nessuna parola stonata e disarmonica, né all’occhio di guardare senza pudore e con sospetto, né all’orecchio di ascoltare qualche canto sconveniente. La vergine bada anche ai piedi, in modo da avere non un’andatura disordinata e molle, ma un passo privo di affettazione e di ricercatezza. Eliminato ogni ornamento dalle vesti, raccomanda continuamente al volto di non distendersi nelle risa, di non sorridere neanche di nascosto, di mostrare al contrario sempre una fronte vereconda e seria, e di essere sempre pronto al pianto e mai al riso.


 
 
 

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